martedì 16 marzo 2010

LE ALCHIMIE DI BASIL ZAHAROFF

COME SI PREPARA UNA GUERRA

Ben prima del 1914, enormi manovre vengono fatte, per armare capillarmente l'Europa, con una corsa agli armamenti orchestrata dalle acciaierie, Schneider, de Wendel, Krupp, Longuy, Skoda, e dai Mercanti d'armi ed esplosivi: Du Pont, Nobel, Wichers, Witheworth, Armstrong, Nordenfeld-Maxim, ed altri, e che vede, come abbiamo visto, nel mercante d'armi levantino-greco, e massone, Basilio Zaharoff, uno dei suoi più grandi interpreti ed artefici.

Zaharoff è, indubbiamente, il più grande ed abile mercante d'armi del suo tempo, e vende sottomarini e corazzate, mitragliatrici, obici da montagna, e cannoni 350 lunghi; da marina. Se la Spagna lotta con gli Stati Uniti per Cuba, se l'Inghilterra combatte i Boeri olandesi, se Greci e Turchi si armano, se la Russia affronta il Giappone, e il Giappone la Russia, tutti, indistintamente, scelgono armi dal campionario di questo piazzista di morte, e vengono serviti con perfetta equanimità, da questo regale becchino cosmopolita.

Zaharoff opera, all'inizio come agente della Nordenfeld- Maxim-Wichers, che poi assorbe anche Wolsey Tools & Motor Co., e l'Electric & Ordinance accessories Co.; a formare un Trust miliardario, di cui Basilio Zacharoff è il dirigente e il perno dinamico. Questo abile cripto-ebreo, si associa con chiunque gli torni utile, per i suoi affari: a Berlino con l'ebraica Ludwig Loewe A.G. che controlla la Dürcher Metal, la Mauser, e la Daimler-Benz.

A Vienna, si fa rappresentante dalla Skoda, a Parigi traffica con Schneider. Nel 1904, si unisce al grande Krupp, per sfruttare l'importante mercato giapponese, in occasione della guerra fra Russia e Giappone. Nello stesso tempo, usa le sue relazioni con Schneider per fornire armamenti e munizioni allo Zar, nella stessa guerra russo-giapponese.

In Manciuria, nel territorio Russo, si scatena, dal 1900 al 1905 la Guerra Russo-Giapponese. La Russia riversa i propri interessi al di là degli Urali, procedendo al graduale assorbimento dei territori asiatici, raggiungendo il Pacifico, e fondando il Porto di Vladivostock. Dal canto suo, dopo essere divenuto una Potenza imperialstica, il Giappone vuole imporre la propria egemonia, economica e politica, sulla Cina; e sulle regioni dell'Estremo Oriente.

Nel 1904, il Giappone invade la Manciuria, costringendo l'esercito russo alla resa di Port Arthur; il conflitto si conclude drammaticamente, nel maggio dell'anno successivo, quando le corazzate nipponiche dell'ammiraglio Togo, affondano la flotta zarista, al largo di Tsushima, presso la costa della Corea. Il Giappone conquista la parte meridionale dell'isola di Sahalin, la Manciuria e la Corea. L'Entente Cordiale del 1904, tra Francia ed Inghilterra, risolve le dispute coloniali tra le due potenze. La sconfitta ha però gravi ripercussioni in Russia, dove, nel 1905-1906, avviene una Prima Rivoluzione, ebreobolscevica, che mira a rovesciare lo Zar Nicola II. Si forma un potente blocco rivoluzionario costituito da fazioni liberali, da borghesi del partito costituzionale–democratico, e dai rappresentanti della classe operaia, divisi tra i socialisti bolscevichi, rivoluzionari, ed i marxisti.

Il 22 gennaio, a Pietroburgo, una folla di oltre 140.000 persone, in una processione, guidata dal Pope ortodosso Gapon, si accalca davanti al Palazzo Imperiale, presentando allo Zar una petizione, per invocare aiuto e protezione. La Petizione degli “Operai” enumera le seguenti richieste: amnistia, libertà sociali, più elevato salario, passaggio graduale della terra al popolo, convocazione dell’Assemblea costituente, sulla base del suffragio universale; quindi conclude:

"Noi operai, abitanti di Pietroburgo, siamo venuti a Te. Noi siamo i miseri, gli schiavi oltraggiati, oppressi dal dispotismo e dall’arbitrio. Quando il calice della pazienza fu colmo, cessammo di lavorare, e chiedemmo ai nostri padroni di darci soltanto il minimo necessario, senza il quale la vita è un supplizio. Ma tutto questo ci fu rifiutato: tutto ciò sembrò illegittimo ai fabbricanti. Noi che siamo qui, in molte migliaia, al pari di tutto il popolo, non abbiamo nessun diritto
umano. Per causa dei Tuoi funzionari, noi siamo diventati schiavi. Sovrano! Non rifiutarti di aiutare il Tuo popolo! Abbatti il muro che esiste fra Te e il Tuo popolo. Ordina e giura che i nostri voti saranno realizzati, e Tu renderai felice la Russia; se non lo farai siamo pronti a morire qui. Noi non abbiamo che due vie: o la libertà e la felicità, o la tomba."

Davanti al Palazzo d'Inverno, alcuni ufficiali dell'esercito, evidentemente collusi con i rivoluzionari, che vogliono destituire e rendere impopolare lo Zar, fanno aprire il fuoco, sui manifestanti; facendo un migliaio di morti, ed oltre 2.000 feriti. La strage di questa "Domenica di sangue", innesca, in tutto il paese un' ondata preordinata di sdegno, scioperi, tumulti, e perfino l'ammutinamento della flotta; ancorata nella baia di Kronstandt, presso Leningrado.

Uno zio dello Zar, governatore generale di Mosca, viene assassinato. l’agitazione si estende nelle campagne, provocando delle rivolte agrarie, e, il 28 giugno, i marinai dell’incrociatore Potemkin si ammutinano a Odessa. Dovunque, gli operai, guidati dagli agitatori ebrei, riescano ad impadronirsi dell'amministrazione locale, sorgono i Kahal ebraici, chiamati ora Soviets, e fatti passare per Consigli di operai in sciopero.

Il momento culminante della rivolta, si ha con la costituzione del Comitato di Pietroburgo, per lo sciopero generale, o Soviet (Kahal) dei rappresentanti degli operai; guidati dal giovane ebreo Braunstein, alias Lev Trotzkij, e con lo sciopero generale dell’ultima decade d’ottobre, che parte da Mosca, trova il suo centro organizzativo a Pietroburgo e dilaga in tutta la Russia.

Lo Zar, Nicola II, deve sottoscrivere il Manifesto del 17 ottobre, (30 ottobre del calendario gregoriano), in cui si promette piena amnistia, il riconoscimento delle libertà civili, e la concessione di un Parlamento Rappresentativo, o Duma. La nuova Duma, stranamente, non si oppone alla dura repressione, voluta, nel biennio 1906-1907, dal primo ministro Stolypin. Questi scioglie la Duma, e vara una riforma agraria che favorisce la proprietà contadina, ma non dissolve certo la cospirazione bolscevica, che continua ad infettare le masse popolari, con il malcontento sociale e con l'ideologia Marxista della Lotta di Classe. Nel gennaio 1906 la rivolta è apparentemente domata, ma si tratta solo di una pausa di rafforzamento.

Nel frattempo, Basilio Zaharoff, facendosi pagare con i prestiti ottenuti dall'Impero Russo, in Francia, dopo la sconfitta russa del 1904, ricostruisce i depositi bellici dell'armata zarista, fondando il famoso arsenale di Tzarazine, sul Mar Nero, e il cantiere di Nicolaieff, per conto della Wichers, ma con il tacito accordo di Schneider.

Nicolaieff è stata allestita da Zaharoff per provvedere la flotta imperiale russa di una eventuale base navale contro la Turchia, e per allarmare, opportunamente i Turchi, che, difatti, preoccupati, si rivolgono allo stesso Zaharoff. Questi, con capitali Anglo-Franco-Tedeschi, ovvero con soldi dei Rotschild, fonda la Società Imperiale Ottomana dei Docks ed Arsenali per la Riorganizzazione del Corno d'Oro e dell'Istmo.

Nel 1911, molto opportunamente per Zaharoff & Co., scoppia la Guerra Italo-Turca, o di Libia; una guerra di espansione coloniale, preparata e condotta dall'Italia, con una serie di lunghi e contorti accordi diplomatici con le altre Potenze Europee; iniziati già nel 1881, quando l'Italia si è vista sfuggire, a vantaggio della Francia, la possibilità di occupare colonialmente la Tunisia.

In previsione di un’espansione, nelle province turche della Tripolitania, e della Cirenaica, in seguito conosciute come Libia, la diplomazia italiana ottiene, dapprima, l'assenso della Germania, nel 1887, quindi, nel 1902, quello della Francia, dell'Inghilterra, e dell'Austria; e, infine, nel 1909, anche quello della Russia. Nel giugno del 1902, anno in cui viene rinnovata la Triplice Alleanza, il ministro degli esteri italiano, Primetti, firma anche un accordo con la Francia.

Grazie ad esso, l'Italia vede riconosciuta dai Francesi, oltre che dagli Inglesi (nel marzo 1902), il suo diritto ad espandersi nell'area libica; per contro l' Italia accetta la presenza francese in Marocco. Il 24 ottobre 1909, il governo italiano stringe un accordo con lo Zar Nicola II, in base al quale l'Italia si impegna ad appoggiare le mire espansionistiche russe negli stretti: del Bosforo, e dei Dardanelli; in cambio dell'accettazione russa della presenza italiana nell'Africa settentrionale.

L'accordo, prevede anche l'impegno, dei due paesi, a contrastare i progetti balcanici dell'Austria. Quest'ultimo impegno Italiano, è una falsa promessa su due fronti, dato che, alcuni giorni prima, e precisamente il 20 ottobre 1909, il Ministro degli esteri italiano Tittoni, e quello austriaco Aehrenthal, hanno firmato un impegno reciproco; ma in senso contrario.

L'Italia verrà ricompensata, nel caso di un'espansione austriaca nei Balcani, ma viene formalizzata la reciproca assicurazione, a non stringere accordi similari con altri stati. Questo è il quadro d'insieme degli accordi diplomatici italiani, da ascriversi, ovviamente, alla tipologia della politica estera del Governo Giolitti: detta di "compenetrazione delle alleanze e delle amicizie".

Quando nel 1911, i Francesi iniziano l'occupazione del Marocco, sollevano non poche preoccupazioni, nell'ambiguo Governo Giolitti, che vede, difatti, profilarsi la rescissione del trattato del 1902. Difatti, una volta conquistato il Marocco, la Francia non ha più nessun vantaggio ad osservarlo, e può espandersi anche verso Est, precedendo ancora una volta l'Italia, così come è avvenuto in Tunisia nel 1881-1882. Gli Italiani temono anche che, mentre la Francia é impegnata ad occupare il Marocco, e l'Inghilterra ha seri problemi in Egitto, la Germania possa decidere di attestarsi, essa pure, nel vicino nord Africa: in Libia.

L'eventuale perdita della Libia, costituirebbe difatti , per il governo Giolitti, un grave smacco, sia per ragioni strategiche, - dato che l'equilibrio di forze, presenti nel Mediterraneo, si fisserebbe, allora, a netto favore della Francia-, sia per motivi di politica economica interna. Il fronte favorevole all'espansionismo coloniale armato, dell'Italia in Libia, guidato apparentemente da politici Nazionalisti, e Conservatori, vede aggregarsi anche i Cattolici, ed è, di fatto, supportato finanziariamente dalla grande industria Siderurgico-Bellica, e da Banche come il Banco di Roma; legato all'aristocrazia romana e papalina, e da tempo impegnato finanziariamente in quella regione.

Difatti, in Cirenaica e in Tripolitania, allora provincie dell'Impero Ottomano, Turco, si è da tempo stabilita una forte comunità di ebrei, e di italiani, che hanno interessi finanziari comuni, gestiti proprio da queste grandi Banche, solo nominalmente Italiane. Nel corso del 1910, si fa intensa la campagna nazionalista, che dipinge la Libia come una sorta di "Terra Promessa", verso cui bisogna dirottare l'eccedenza di popolazione, che, in quel momento, ancora trovava una fuga dalla miseria Nazionale, nell'emigrazione transoceanica: nelle Americhe.

All'inizio del 1911, l'idea di una occupazione militare della Libia, incomincia a raccogliere consensi, anche in ambienti socialisti, e le voci di dissenso sono davvero poche. Tra di esse, si distingue quella di Gaetano Salvemini; per la lucidità della sua analisi, tesa a dimostrare come lo scatolone di sabbia della Libia, non possa costituire la terra promessa di nessuno, neanche dei Libici.

Il Ministro degli Esteri, San Giuliano, sa del resto, come sanno bene anche i burattinai della politica europea, ed Italiana, che l'invasione della Tripolitania Turca, indebolendo le forze ottomane, aprirà la via all'azione dell'Austria o della Russia panslava nei Balcani; innescando una reazione a catena, che cambierà completamente gli equilibri di forza fra le Potenze Europee. L'Italia viene quindi rassicurata, nelle sue pretese coloniali in Libia, proprio con l'intento di aprire un più vasto conflitto nei Balcani.

Preoccupato dal contesto internazionale, in rapida evoluzione, e cosciente dell'impossibilità di scontentare i nazionalisti, e più in generale la Destra, il governo Giolitti, nell'estate del 1911, decide, senza consultare il Parlamento, o informare preventivamente il paese, di dare inizio a quella che ormai si considera una "fatalità storica": la conquista italiana della Libia.

Col pretesto di inaudite violenze, subite da cittadini Italiani in Cirenaica e Tripolitania, il 29 settembre 1911, l'Italia, usando l'art. 5 dello Statuto, dichiara guerra alla Turchia; senza l'approvazione del Parlamento, che in quel momento è in vacanza. Si mobilitano l'esercito, la marina e un primo abbozzo di aviazione. Temendo che le cattive condizioni del mare, in inverno, possano far rinviare l'avvio della campagna alla primavera successiva, tra il 26 e il 27 settembre, il governo italiano invia un ultimatum al Governo Turco, e, quasi senza aspettare replica, dà inizio alle operazioni. L'Italia parte con 35.000 uomini, poi ne imbarcherà altri 100.000, agli ordini del generale Carlo Caneva, che, il 5 ottobre 1911 occupa già Tripoli e Bengasi.

L'avvio della campagna, è tanto rapido da sorprendere la stessa opinione pubblica italiana, che, ben presto, si divide, come al solito, in favorevoli e contrari. Favorevoli sono i nazionalisti, che vedono premiata la loro propaganda politica, la Destra conservatrice, i moderati, i cattolici, i socialisti riformisti, di Bissolati, ed alcuni sindacalisti rivoluzionari; tra i quali Arturo Labriola. Il fronte dei contrari, è composto dalla maggioranza del partito socialista: riformisti turatiani, e massimalisti; e da molti democratici.

Le operazioni di sbarco delle truppe italiane, in Libia, incominciano verso la metà del mese di ottobre, e portano alla rapida conquista dei principali centri costieri: Tripoli, Bengasi, Tobruk. Il 23 ottobre, un'audace controffensiva turca, lascia morti, sul terreno, 400 bersaglieri italiani.

Questo fatto, scatena una feroce, quanto stupida, rappresaglia degli italiani, che si rifanno sui civili inermi, con la strage di Sciara Sciat. L'eccidio gratuito, di civili libici, suscita lo sdegno e l'indignazione della Stampa mondiale, e una reazione popolare che costa molto cara all'Italia, dato che la guerriglia ora dilaga ovunque, nel Paese arabo, appoggiata proprio dalla Turchia, che prepara, nel frattempo, una controffensiva.

Le popolazioni arabe e berbere locali, infatti, organizzatesi in una guerriglia tribale e religiosa, non solo non accolgono gli Italiani, come sedicenti liberatori dal giogo turco, ma scatenano contro di loro una vera e propria Jihad: una Guerra Santa. A causa di questa resistenza imprevista, il contingente italiano d'occupazione, viene portato a 100.000 uomini, che vengono impegnati, per tutto il corso del 1912, in incessanti azioni belliche, condotte con grande determinazione dai Libici.

Gli italiani subiscono perdite tali, da essere costretti a trincerarsi nei centri urbani; o nelle oasi fortificate, occupate all'inizio della campagna. La guerra si prolunga oltre le aspettative e, a questo punto, i comandi militari decidono di spostare il fronte d'azione. La Marina italiana, viene inviata nel Mediterraneo Orientale, dove inizia le operazioni navali nel Mare Egeo, bombardando i forti turchi dei Dardanelli, e scontrandosi, nello stretto, con la flotta Imperiale Ottomana.

L'Italia, data la protezione accordata alla “ Gran Porta”, dalla Germania, e dall'Austria, opera senza colpire i centri nevralgici della Turchia. Si rischia però un coinvolgimento Russo, mentre i contingenti di truppe Italiani sbarcano a Rodi, occupando le 12 isole del Dodecanneso, e Stampalia; di fronte alla costa mediterranea della Turchia.

L'impegno dichiarato, è quello di restituirle al governo turco, al momento del suo totale ritiro, da quella che gli italiani chiamano, ormai, Libia; in realtà, esse resteranno italiane fino al 1947. Dopo alterne vicende, diplomatiche e militari, la Turchia cede, e la pace viene firmata, a Losanna; il 18 ottobre del 1912. Il Sultano, Abdul Hamid II, rinuncia al controllo amministrativo, sulla Tripolitania e sulla Cirenaica, province sulle quali, peraltro, il governo e il Parlamento Italiano hanno già precedentemente esteso, illegalmente, la loro sovranità; con un atto unilaterale, e senza attendere, né ottenere, alcun riconoscimento internazionale del proprio operato.

L'Italia s’impossessa, proditoriamente, della Tripolitania e della Cirenaica, che vengono chiamate col vecchio nome Romano di Libia; ma la sua sovranità, sul Paese nord africano, resta puramente nominale: limitata, per anni, esclusivamente alla sottile fascia costiera. Nel 1913, scoppiano, con gran gioia dei Mercanti d'armi e dei Banchieri, le Guerre Balcaniche.


L'Impero Ottomano e il sultano Abdul Hamid II, dopo la sconfitta con l'Italia in Libia, non hanno perso solo il loro prestigio, ma hanno dimostrato la propria debolezza in Africa settentrionale, e nei Balcani; dove ormai la sovranità turca su Bosnia e Bulgaria è puramente teorica. La Guerra Italiana, per la conquista della Libia, è stato un limitato test d'assaggio, per il più ampio conflitto che ora viene scatenato; per far perdere, all'Impero Ottomano, la maggior parte del suo territorio Europeo, e, in seguito, anche la quasi totalità di quello Nord Africano.

La Bulgaria e la Serbia il 13 marzo, e la Bulgaria e la Grecia il 29 maggio del 1912, stringono un'Alleanza: nominalmente di carattere difensivo, ma con lo scopo segreto di muovere guerra alla Turchia, per strapparle la Macedonia, che andrà alla Bulgaria, e l'Albania; che verrà divisa fra Greci, Montenegrini e Serbi. Sono i Montenegrini ad iniziare, in Albania, verso la fine del 1912, le ostilità contro i Turchi.

La guerra Balcanica viene dichiarata, il 16 Ottobre 1912, da Sofia a Costantinopoli; seguono, a breve distanza, le dichiarazioni di guerra della Serbia e della Grecia. Le operazioni belliche si svolgono rapide e violentissime. Il 15 ottobre, i Montenegrini cingono d'assedio Scutari, il 23 ottobre i Bulgari accerchiano Adrianopoli, sconfiggendo i Turchi a Kirk-Kilissè. Questi, ritiratisi in disordine il 25 ottobre a Lule-Burgos, il 29 sono raggiunti dall'esercito bulgaro, e battuti ancora una volta, in una grande battaglia.

Il 31 Ottobre essi ripiegano oltre Ciatalgia, ultima linea di difesa turca a pochi chilometri da Costantinopoli. Il 23 ottobre i Serbi, avanzando con quattro eserciti, occupando Novi Bazar, Kratovo, Kossovo e Pichtina; il 24, dopo un' aspra battaglia, conquistano Kamonovo, e il 26 Uskub. I Greci, lanciata una colonna verso Gianina, s'impadroniscono il 20 ottobre di Elassona, sconfiggono i Turchi a Servia, e investono Thessaloniki, dove entrano il 10 novembre; contemporaneamente ad un esercito Bulgaro.

Il 18 novembre i Serbi s'impadroniscono di Monastir che, secondo i patti, consegnano ai Bulgari; il 27, insieme con i Montenegrini, occupano Durazzo. I Greci intanto avanzando nell'Albania meridionale, occupano Prevesa, e i Bulgari, il 17, danno l'assalto alle difese di Ciatalgia, ma, tre giorni dopo, di fronte all'eroica resistenza turca, sospendevano l'offensiva, e il 30 concludono un armistizio di quindici giorni.

La guerra balcanica è stata pensata e attuata, usando i vari nazionalismi degli Stati sottomessi ai Turchi, con lo scopo, implicito, di scatenare, in seguito, un conflitto europeo, per la spartizione delle spoglie dell'Impero Ottomano sconfitto. La Russia non può, difatti permettere, che la Bulgaria giunga a Costantinopoli; l'Austria, dal canto suo, non vuole che la Serbia si allarghi, perché una Grande Serbia, costituisce un ostacolo, insormontabile, alla politica ausburgica: di estensione del proprio Impero fino all'Egeo, ed è decisa ad impedire che i Serbi occupino l'Albania, giungendo così all'Adriatico.

A sua volta, l'Italia non può restare indifferente, all'azione della Grecia, nell'Albania meridionale, di cui essa pure vuole impadronirsi, né può ignorare la campagna di ribellione contro gli Italiani, sostenuta dai greci, nelle Isole del Dodecanneso. Nell'ottobre del 1912, sorge la minaccia di un conflitto tra la Triplice alleanza e l'Intesa, e il conte Berchtold, ministro degli Esteri austro-ungarico, ha, il 21-23 ottobre, un incontro a San Rossore con il Marchese Di San Giuliano, il quale, dal 4 all' 8 Novembre, si reca a Berlino, per incontrarsi con gli statisti tedeschi.

In questi incontri, viene riconosciuta l'identità di interessi dell'Austria, e dell'Italia; sull'Albania, e, con il consenso di Vienna e di Berlino, Di San Giuliano ammonisce il Governo Greco, affermando che l'Italia impedirà, alla Grecia, di occupare la baia di Valona. Nello stesso mese di novembre, a dissipare gli equivoci sulla futura condotta dell'Italia, in un confitto fra i due gruppi di potenze europee, per ordine del Governo italiano, l'Ambasciatore Tittoni avverte il francese, Raymond Poincaré, che l'Italia, in virtù di una convenzione italo-austriaca, firmata nel 1901, è obbligata a schierarsi a fianco dell'alleata, nel caso di un'invasione balcanica in Albania; e che tale obbligo specifico, non viene infirmato dagli accordi generici, italofrancesi, del 1902; né da quelli italo-russi, di Racconigi.

Nei Convegni di San Rossore, e di Berlino, si parla anche dell'opportunità di anticipare il rinnovo del Trattato della Triplice, che avviene il 5 dicembre a Vienna. Undici giorni dopo, si riuniscono, a Londra, i plenipotenziari turchi, bulgari, serbi, montenegrini, e greci; per discutere della pace, ma i negoziati si trascinano lentissimi, e con scarse probabilità di riuscita, date le pretese abnormi degli alleati; e la decisa resistenza dei Turchi.

I primi pretendono la cessione delle isole egee, e del territorio europeo dell'Impero Ottomano, meno il Bosforo, Costantinopoli, e la penisola di Gallipoli; gli altri sono disposti a concedere, alla Macedonia, e alla Turchia, la sola autonomia amministrativa. Si fa un piccolo passo avanti, quando, a Londra, per iniziativa dell'Inghilterra, si apre una riunione degli Ambasciatori; per stabilire i risultati della guerra balcanica. I Turchi si dicono disposti ad accettare, per Candia, la decisione delle Potenze, e lasciano all'Europa il potere di tracciare i nuovi confini, dettando le norme per l'Albania autonoma. Essi cedono parte del territorio, vicino ad Adrianopoli, ma rifiutano di abbandonare questa città, e le isole dell'Egeo.

Le Potenze fanno enormi pressioni sulla Turchia, perché lasci Adrianopoli ai Bulgari, Candia ai Greci, e conceda l'autonomia alle Isole dell'Egeo. I Turchi stanno per accettare, quando il partito dei Giovane Turchi prende con la forza il potere, e dichiara di voler continuare la guerra. Il 29 gennaio del 1913, le trattative vengono troncate, e le ostilità ricominciano. Pochi giorni dopo, i Bulgari, respinti gli assalti turchi dalle linee di Ciatalgia, occupano la riva settentrionale del mare di Marmara; Montenegrini e Serbi attaccano Scutari, verso la fine di febbraio, e il 6 marzo, Gianina si arrende ai Greci; mentre, il 28 marzo, Adrianopoli viene espugnata.

Nel frattempo, i notabili albanesi, riuniti a Valona per costituire un governo provvisorio, esprimono il voto che l'Albania diventi uno Stato Indipendente. A questa aspirazione, aderisce la conferenza degli ambasciatori, riunita a Londra, la quale, non volendo che il nuovo Stato abbia un'entità irrisoria, nega alla Serbia lo sbocco all'Adriatico, e al Montenegro il possesso di Scutari. Ma il Montenegro, aiutato dalla Serbia, continua le operazioni contro Scutari, e allora, il 4 Aprile 1913, le Potenze danno, nelle acque di Antivari, una dimostrazione navale palesemente intimidatoria; esibizione a cui si uniscono anche le navi italiane Saint Bon, e Ferruccio.

L'8 aprile 1913, la Serbia nega al Montenegro il suo aiuto bellico per Scutari, ma i montenegrini si accordano con il comandante dell'esercito turco, a Scutari; Essad Pascià, un albanese, che, con la speranza di costituire lo Stato in Albania, il 22 Aprile consegna la città ai Montenegrini, formando, a Durazzo, un governo provvisorio.
Il Montenegro, minacciato dal blocco navale delle sue coste, attuato dalle Potenze, deve abbandonare Scutari; dove, il 14 maggio del 1913, entra un corpo di truppe da sbarco internazionali.

Il 30 maggio 1913, a Londra, fra Turchi, Bulgari, Serbi, e Greci e Montenegrini, viene firmato un Trattato, in virtù del quale L'Impero della Gran Porta Turca, cede tutto il proprio territorio europeo, ad eccezione dell'Albania; i cui confini e il cui regolamento politico vengono affidati alle Potenze europee. La Gran Porta cede agli Alleati balcanici l'isola di Candia, lasciandoli liberi di decidere le sorti delle isole egee, e della penisola del Monte Athos. Le redditizie questioni finanziarie, relative alla guerra, vengono definite a Parigi; da una Commissione Internazionale.

La divisione delle spoglie dell'Impero turco Ottomano, non può che provocare, come si è ben previsto in alto loco, una Seconda Guerra nella penisola Balcanica, dato che, se anche si sono sottratti al dominio ottomano, i singoli Stati Balcanici, che hanno partecipato al conflitto, sono del tutto insoddisfatti dei risultati ottenuti.

La Bulgaria, che vuol fare la parte del leone, non intende riconoscere l'annessione di gran parte della Macedonia alla Serbia, e, traditi gli ex alleati Greci, Serbi, e Montenegrini, li assale il 29 giugno. Questi, dapprima resistono, e poi passano alla controffensiva, respingendo ovunque l'ex alleato. Della nuova guerra, fra gli ex compari balcanici, approfittano Turchi, che, il 20 luglio rioccupano Adrianopoli. Se ne avvantaggiano anche i Rumeni, i quali, accampando delle pretese sulla Dobrugia, scendono in armi, e, passato il Danubio, marciano su Sofia.

Le ostilità durano un mese, e, il 10 agosto 1913, viene firmata la pace di Bucarest, che modifica ampiamente la carta dei Balcani. La Grecia, oltre Creta, guadagna Salonicco, l'Epiro, una parte della Macedonia, fino a Bitolia, e a Kavala. Il Montenegro, ottiene alcuni lembi dell'Albania settentrionale, e parte del Sangiaccato di Novi Bazar. La Serbia raddoppia il proprio precedente territorio, e la Romania, senza aver fatto praticamente nulla, acquisisce Silistria, apporta ampie rettifiche alle proprie frontiere, ed ottiene quasi l'intera Dobrugia; nonché parte della costa del Mar Nero.

Nello stesso mese di Agosto, dalle discussioni della conferenza degli ambasciatori a Londra esce un'Albania apparentemente indipendente, eretta a principato ereditario e neutrale. Per il nuovo Stato, non è facile trovare un sovrano. Scartate le proposte di dare il trono al principe Ghica, al Marchese d'Auletta Giovanni V Castiota Scanderberg, e al Principe Napoleone, figlio di Gerolamo e di Clotilde di Savoia, alla fine viene scelto il Principe tedesco Guglielmo di Wied.

Le guerre balcaniche finiscono con una pace armata, che ha l'aspetto di un breve armistizio; in un conflitto ancora in corso. I trattati, stilati con questa effimera quiete, non danno nessun assetto definitivo, alla penisola balcanica, e, di fatto, soltanto la Romania esce arricchita e soddisfatta dal conflitto. La Grecia, che si duole di non essersi impadronita dell'Albania meridionale, non solo ritira malvolentieri dal paese le proprie truppe, che, difatti se ne vanno solo dopo aver saccheggiato, bruciato, e stuprato a più non posso; ma cerca anche di procurare noie, e grattacapi futuri all'Italia: alimentando l'irredentismo greco, nelle isole egee del Dodecanneso.

Insoddisfatto è anche il Montenegro, che non ha potuto tenersi Scutari, e le altre terre a cui mirava; scontenta pure la Serbia, e, ancor più rancorosa, la Bulgaria. A quest'ultima viene attribuita, probabilmente a ragione, l'intenzione di togliere Salonicco ai Greci, e la Macedonia alla Serbia; per la qual cosa, Serbia e Grecia stipulano un Trattato di reciproco aiuto, nel caso, non improbabile, di un prossimo attacco bulgaro.

A rendere ancora più difficile la situazione internazionale, e assai più facili gli ulteriori progetti, bellici, dei mercanti di cannoni e di danaro internazionali, la Serbia rende noto il suo programma egemonico, e nazionalista, suscitando la motivata diffidenza dell'Austria. A questo punto, nell'Est balcanico si sono ormai determinate, tutte le condizioni favorevoli allo sboccio di un nuovo, atteso e caldeggiato Conflitto Mondiale, in cui i soliti Burattinai, delle Armi e della Finanza, vogliono coinvolgere tutte le Grandi Potenze Europee e, se possibile, Gli Stati Uniti d'America; e poi l'Asia nipponica.

MAURO LIKAR

Nessun commento:

Posta un commento