martedì 23 marzo 2010



RINASCIMENTO
GERMANICO

Dopo il Rinascimento dei Secoli XIV°, XV° e XVI° dopo La Riforma di Martin Luther, dopo il Gotico, Meister Eckart, Albrecht Dürer, Lucas Cranach, dopo Bach, Mozart e Beethoven, e l’impulso dato da Goethe, Winckelmann, Lessing, Novalis, Schiller, Holderling e Kleist, viene l’ora di Friedrich Nietzsche, di Richard Wagner, di Houston Chamberlain, di Rosemberg, di Adolf Hitler, e di una Germania stanca d’essere il laboratorio delle depressioni e delle angosce esistenziali e culturali ebraiche.

L’ebraismo infiltratosi ovunque nelle Arti, ha già introdotto il virus dell’Impressionismo e poi dell’Espressionismo, con l’intento di guastare il gusto “Pagano” del “classico e del greco”, pazientemente introdotti in Europa da Goethe, Winckelmann, Canova, Thorwaldsen, David, Ingres, Barrias, Girodet, Flandrin, e da tutti gli artisti del filone NeoClassico.

Alla solarità pagana e Neogreca, gli “Artisti” della Brucke oppongono l’ombra livida del loro malessere patologico, la loro voglia biblica e mortifera d’interpretare il ruolo d’eterne vittime e di sovra imporre la loro bruttezza ad ogni bellezza altrui. Squallore ed impulso necrofilo sono i loro strumenti e le loro armi principali, e l’Angst, o Angoscia esistenziale, è non solo il brodo di coltura delle loro ambigue ispirazioni artistiche, ma anche il grimaldello con cui scassinare la psiche ariana.

La cricca dei pittori della Brucke, e del Blaue Reiter, con nomi ampiamente rivelatori della loro provenienza israelita, come Kirchner, Pechstein, Nolde, Bechmann, Kandinsky, Marc, Klee, o Macke, viene fiancheggiata da musicisti anch’essi sprepuziati, ed altrettanto “dirompenti”: Arnold Schömberg, Alban Berg, Franz Webern, e da scrittori anch’essi onestamente Ebrei: Thomas ed Heinrich Mann, Karl Kraus, Franz Werfel, Otto Weininger, Gottfied Benn, Franz Kafka, Stefan Zweig, ed Alfred Döblin.

La schiera degli altri “eletti” di minore notorietà, ma intensamente attivi in giornali e gazzette, è una vera agguerritissima legione di famigli. Tutti costoro si occupano coralmente della sofferenza e della psiche altrui, aiutati dai loro correligionari del mestiere: Sigmund Freud ed il suo clan di seguaci, psicologi e psichiatri come lui affiliati al B’Nai Brith.

Con la Prima Guerra Mondiale, queste forze disgreganti hanno avuto buon gioco nel propagare la loro artistica desolazione. Si mira a spezzare la volontà di lottare e l’anima dei tedeschi, a disorientarli per meglio soggiogarli, e si inventa il Dadaismo, che insulta, sminuisce e ridicolizza apertamente la bellezza, l’armonia e il pathos classici, ed introduce l’arte dello sberleffo grottesco, il gusto dell’assurdo e del demenziale, mascherati da “giocosa spontaneità”. L’indesiderabile pattume mentale di un Jean Arp e dei suoi molti emuli, diviene l’Avanguardia: ma l’avanguardia di che cosa? e voluta poi da chi? Con George Grosz, Otto Dix, Lichard, Huelsenbeck, Oskar Kokoschka, Raoul Hausmann e Walter Menring, si organizzano dei matinées e dei “festival Dada” che sono delle semplici provocazioni anti artistiche. Con Kurt Schwitters nasce la Merzkunst, l’arte degli slogan cretini, in cui la stupidità e la
vacuità mentale degli autori raggiunge vette d’elevazione insuperabili. Questi sono i giovani ebrei al lavoro.

I vecchi ebrei, invece, continuano a produrre “Arte” secondo schemi canonici più accettabili. Thomas Mann, Herman Hesse, Rainer Maria Rilke, Stefan Zweig, Max Liebermann, rappresentano il Filone ebraico illuminato ed Umanista. Si gioca dunque in casa e su tutti i fronti, ed accorgersi della sottile concordanza d’intenti dei diversi “protagonisti della cultura e delle arti germaniche” non è poi così ovvio per la popolazione tedesca non avvertita. Alcuni però notano i curiosi e strettissimi legami fra gli “ideali ebraici” e le idee espresse e diffuse a Berlino, Parigi, Londra, Mosca ed Hollywood da questi artisti alfieri del “moderno”.

Max Reinhardt allestisce le sue sontuose produzioni teatrali, in quattro diversi teatri di Berlino, incluso il Teatro dei Cinquemila; Alexander Moissi recita l’Amleto in abiti da strada, ed Erwin Piscator, sponsorizzato dai Sindacati Comunisti, mette in scena i suoi funesti drammi, ed anche il Buon Soldato Schweik, scenografato proprio da George Grosz.

Ovviamente la Russia è di casa in questo milieu culturale prettamente ebraico, ed il Teatro dell’Arte di Stanislawsky è, a Berlino, un ospite assai assiduo. Da Parigi giunge in trasferta Josephine Baker, la Naomi Campbell dell’epoca, ma questa “venere nera” non veste Valentino o Armani, ma semplici e più allusive Banane. Da New York giunge la musica Jazz ed il Blues negro elaborato da George Gershwin. Gli ebrei dominano ovunque la “scena culturale”: un palcoscenico su cui non sembra esserci spazio
che per loro; come non accorgersene?

Ernst Toller, Georg Kaiser, Ernst Barlach propagano il loro pessimo gusto Kitsch, che Hollywood porterà poi alle stelle. Dulcis in Fundo, Bertold Brecht e Kurt Weil deliziano in piena recessione, con 300 repliche consecutive dell’Opera da Tre Soldi, il pubblico berlinese. Questo “Capolavoro” è il perno centrale di una propaganda disfattista ebraica, volta a fomentare lo scontento popolare, direzionandolo verso il comunismo, e dandogli la forma e le voci ben articolate e facilmente comprensibili delle puttane e dei magnaccia di Berlino.

L’Opera di Brecht è un ottimo esempio di sofisticato e solo apparentemente popolare Zeitkunst: Arte Politicizzata d’attualità, che si rivolge alla massa nel facile linguaggio della plebaglia analfabeta. Le musiche di Kurt Weil sono semplici ariette orecchiabili, da cabaret, con tocchi da banda metropolitana e inserti da balera.

Viene da ultimo la corrente d’Arte che gli storici attuali ritengono la più importante dell’Epoca: il “Nuovo Funzionalismo” o Bauhaus di Walter Gropius, che domina incontrastato sul tramonto della Repubblica ebraica di Weimar. Questo stile funzionale, che elimina ogni decorazione a favore e negli interessi di risparmio e profitto della produzione industriale, ha, per protagonisti, un altro manipolo di ebrei.

Lo staff di Gropius al Bauhaus è composto da Vassilij Kandisnsky, Paul Klee, Laslo Moholy-Nagy, Oskar Schlemmer, Marcel Brever, Josef Albers, Lyonel Feininger ed Herbert Bayer. Tutti questi insegnanti ebrei od ebreiformi, instillano nei loro studenti la “passione” per la linearità funzionale, e per una dimensione “sociale” dell’architettura.

Al Salon Des Artistes Decorateurs di Parigi del 1930, per colmo dell’ironia o dello spregio, proprio questi negatori della decorazione allestiscono l’intera sezione tedesca. È il trionfo del disegno industriale e la fine di quello veramente artistico. Superfici vuote o semplici cromatismi piatti sostituiscono ogni decorazione. Spariscono le sculture, e la pittura diviene un semplice grafismo, o viene del tutto eliminata. Il “Bello” viene soppiantato dall’Industrialmente economico, ovvero produttivamente profittevole.

Ma il Nazionalsocialismo hitleriano è già presente, e ben presto eliminerà il Bauhaus ed i principi di un’arte e di un design scheletrici, asserviti al profitto industriale, fatti passare per progressismo umanistico. Albert Speer, Josef Torak, Arno Breker, ben presto sostituiranno alle funzionalità industriali ebraiche del paradiso perduto di Weimar, la loro asciutta e rigorosa estetica Neo Greca e Neo Dorica. Bastano poche immagini comparative per accertarsene.

La voce di Adolf Hitler, partita dalle catacombe al malto della Hofbrauhaus di Monaco, nell’ottobre del 1919, non è quella di uno sprovveduto accortosi improvvisamente di saper parlare con eloquenza convincente, ma quella di un uomo che sente d’essere lo strumento del Destino, e che vuole la libertà e la salvezza del suo popolo. Distruggere la falsa democrazia, con i suoi stessi mezzi legali ed il pieno consenso elettorale è quanto vuole e riuscirà a fare.

Il Suo programma, caso unico nella storia di un uomo politico, è espresso chiaramente fin dall’inizio, nel Mein Kampf: La Germania è dei Tedeschi, e i non tedeschi sono ospiti stranieri, che non hanno voce in capitolo nelle faccende dello Stato: Cultura ed educazione compresa. Gli Ebrei, che sono solo nominalmente tedeschi, devono mollare l’osso, perdere le vantaggiose posizioni occupate nei gangli della società e dello Stato germanici, e la cosa non garba loro affatto.

Eccoli allora lanciare a mezzo stampa, fin dal 1933, dei proclami di guerra ad oltranza al Nazionalsocialismo, organizzare boicottaggi commerciali su scala mondiale, gridare al dittatore e all’assassino, senza che nessuno abbia torto loro un capello. Il Miracolo avvenuto in Germania li lascia allibiti: un emerito signor nessuno, un miserabile bozzettista di cartoline, è diventato il Cancelliere del Reich, in una Repubblica che ha ormai, per piena volontà popolare, le ore contate. Il Brutto anatroccolo si è trasformato nel bianco cigno di Lohengrin e vola alto sopra i pigmei della Politica.

Così lo si ingiuria, dandogli del guitto, dello stregone, del demagogo, dell’omosessuale, del pazzo che dà la colpa di tutto ai poveri ebrei, eterne vittime innocenti di ogni odio fanatico. Di fatto, il Partito Hitleriano ha pubblicato una piattaforma di 25 punti, che verranno applicati con estrema attenzione. Il Potere viene la mattina del 30 gennaio 1933, quando Adolf Hitler viene nominato ufficialmente Cancelliere dal vecchio Hindemburg.

Questo accattone che viveva nei dormitori pubblici di Vienna, questo fallito ante 1914, questo milite ignoto diventato un ridicolo oratore da birreria e da circo, ora si permette di agguantare il timone dello Stato, con alle spalle 13 milioni di tedeschi convinti della giustezza delle sue tesi, cambiando la rotta della Germania, dell’Europa, e gettando alle ortiche le regole del gioco.

Una fiumana di fuoco e di fiaccole si muove quella notte al rullar dei tamburi, sotto la Porta di Brandeburgo. Adolf Hitler è l’oggetto d’una tempesta di acclamazioni che erompono in ondate successive, a partire dal Tiergarten.

Su questa mezzanotte del 1933, che è l’alba del Nuovo Ordine Germanico, gli ebrei del mondo intero proiettano delle ombre sinistre, Maledizioni che presto diverranno vere e proprie dichiarazioni di Guerra.

Mauro Likar

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